martedì 14 dicembre 2010

Le risa contano poco se non si è pianto insieme


Mi sarà sempre impossibile leggere Platone, se sento urlare l'ignorante che si elegge a legge.
Mi sarà sempre impossibile evitare smorfie di sdegno, se due amiche si appellano con "meretrice" sorridendo.
Non mi sono mai impegnata a farmi voler bene; mi si ama o mi si odia. Ed è normale, gli uomini mi amano e le donne, bè solo alcune donne mi amano; il resto è incline all'invidia, alla gelosia, alla cattiveria. Le donne che presso di me si sono rifugiate, scaldate, innamorate, sono anni luce lontane dalla mediocrità, dall'ipocrisia, dalla menzogna. Sicure perchè belle, altezzose perchè intelligenti, capaci di un tale disprezzo verso le meschine, che è normale le si odi, queste donne non scendono a compromessi; trionfano, tutti qui.
Per alcuni uomini la complessità è una malattia difficile da debellare, per uomini che mangiano, bevono soprattutto, dormono, se sono fortunati e trovano le amiche (quelle che si appellano con "ehi, meretrice..") , potrebbero anche sperare di copulare. Per altri, la complessità, è l'eccitazione che si fa urgenza di vivere, è l'istinto verso l'unicità, il bisogno del meglio, la voglia di entrare in un più profondo contatto.
Per sfortuna della categoria femminile (che io amo, terrei a precisare), ho constatato la difficoltà di alcune singole, nel distinguere il sentire e il ragionare. Succede alle limitate, quindi, di riuscire a sentire, poniamo come esempio il momento intimo a letto, di provare delle sensazioni, ma senza la capacità del ragionamento. Sentono e basta. L'altra categoria, invece, ha la doppia capacità, ed ogni attività viene inglobata da mente e corpo e in alcuni casi tutto diventa fisicamente coinvolgente e mentalmente distaccato. O viceversa.
Mi capita, per entrare in un'atmosfera precisa, prima di scrivere una lettera, prima di un incontro, prima di fare l'amore, di bere qualche sorso di Colette o di M.Callas o Baudelaire e in questo modo sento di avere la vena giusta, di poter scivolare in quella via. E mi chiedo, quando sento certe "uscite" da boccacce non lavate, cosa fanno queste per arrivare a tanto? Una sorsata di Coca-Cola e flato libero? Queste che masticano bocconi di cibo come maschiacci male educati, che ruminano cicche facendo veder l'ugola arrossata. La verità è che spengono in me ogni desiderio, ogni voglia di contatto, anche la più banale, anche quella del saluto (che quasi mai nego). La verità è che io ho bisogno di stimoli, ma solo davanti a queste fiamme spente, mi si arrovella l'intestino dallo sprezzo; ho bisogno di stimoli e stimoli voglio dare anche alle persone che mi stanno accanto e quando vedo con tristezza, che di queste persone si circondano, alcune persone che io amo, capisco la debolezza degli uomini, degli esseri, dell'intelligenza stessa.
I punti deboli dei bagagli altrui sono così pesanti, da poterli vedere ad occhio nudo. Cassiere ai loro posti in un supermercato ridacchiano delle belle fanciulle che passano, le loro risa coperte da quei "biiip, biiip" delle casse, saranno pianti delle 21.00, quando staccheranno e a casa non le aspetterà nessuno. Parrucche colorate che coprono l'assenza di personalità di una ragazza in discoteca, a quale età non si sa, si è perso il conto tante sono le volte che la si è vista; beve per dimenticare, ma dimenticare cosa? La mattina sarà sempre la stessa, solo più stordita e con un alito insopportabile. Io, qui, nella tranquillità del mio disordine, aspetto solo i loro danni e guarderò la loro degradazione scivolare insieme ai loro anni, mentre i loro amici mi diranno in coro :"Avevi ragione. La complessità è migliore". E poi finisce sempre che l'uomo, malinconico, si ferma a pensare, dopo che la musica ha cessato di suonare, vede la pista vuota, le "meretrici" saranno in qualche squallida toilette (che loro chiameranno con un altro nome), le tracce di rossetto sulla camicia; fuori, la solitudine. Il momento d'estasi è finito, l'ebbrezza alcolica cala e, cosa rimane? Le risa contano poco se non si è pianto insieme.
Insistiamo a vivere, ma non sappiamo quale direzione prendere e vaghiamo incerti, per di qua, per di là, oltre la siepe o non attraversando quella siepe. Padroni, padroni di noi stessi, liberi di sprofondare negli abissi più oscuri e inesplorati, nelle acque della complessità o liberi di galleggiare, perchè meno faticoso, meno rischioso. Io ho deciso di scendere, di non veder nulla, ho scelto il buio; sono un essere errabondo e mutevole, ondoso, nodoso, sensuale e teatrale e per una vita come questa si rischia di innamorarsi.

domenica 12 dicembre 2010

Le ore


E' proprio oggi, in questo preciso giorno, in questo preciso istante, che tutto mi è chiaro.
Il silenzio, quel silenzio intorno ai volti, alle feste, alle teste, quella fedele visione imperfetta del mondo, delle cose, ora, ha un senso, una luce.
Arriva la tenera atmosfera natalizia, tutta luci e melodie e sembra così facile abbandonarsi. In mancanza di affetti, un'atmosfera così, può fare compagnia. In casa, ora, il buio. E l'albero di Natale, e il rosso e l'oro accesi, poi, di nuovo il buio. Passeggio nel tepore delle stanze, così, a piedi nudi, la cintura della vestaglia che tocca terra, il viso pallido, la bocca del mattino, senza colore, senza ancora alcuna traccia di sapori, nell'immensità del silenzio. E' questo che amo, è questo che sono. Mi guardo intorno, in una casa che vivo quotidianamente, una casa che ora, mi par di vedere per la prima volta. Penso di fronte a quale scosceso precipizio mi sia trovata nell'arco di questi lunghi anni, negli sbalzi gioiosi e folli e nel terrore del tempo, questo tempo a me nemico, nell'inconsapevolezza di vivere una vita mia o una vita inventata. Una vita pur sempre possedduta e sentita, una vita di affanni, una vita in cui il sogno mi vede sola, una vita conquistata.
Dalle finestre, il riflesso oro delle luci a intermittenza, il mio viso, sereno, la mia bocca, sorridente. A occhi chiusi sono nella cucina, oggi ho solo voglia di sapori dolci. Il fuoco mi abbaglia, deciso, di una serpentina bellezza, scalda quel che io berrò. E' un momento soffocante e magnifico e preparo qualcosa per me soltanto e potrei vivere di questi gesti una vita intera.
Il cielo, fuori, si fa sempre più scuro, per qualche secondo, le luci delle case fredde, distanti, mi abbagliano; tra i suoni delle campane mi ritrovo, sono ancora qui, dentro la mia casa, sono ancora qui, mi rifugio. Così certa di riconoscere la felicità, in una domenica che ricorderò, se l'emozione non m'inganna.
Amo il suono argenteo del cucchiaio nella tazza, mentre mescolo lo zucchero nel tè, amo il suono felpato delle mie vesti che toccano incatue i mobili che passo, amo il suono della carta tra le mani, mentre sfoglio le pagine dei libri, ubriaca di gioia, fradicia di lacrime. Terribilmente felice. Terribilmente. Nessuna felicità ha il suono di un'arpa. La felicità è un "la" a caso, è il "la" di un indice che sfiora un pianoforte.
Lentamente esplode la mia felicità, lentamente ne bevo e aspetto che finisca. Penso, onestamente, a chi riuscirebbe a comprenderla, se nemmeno io so delinearne la forma. Penso -cosa rimane alla fine?-. Asciugherò il viso, disegnerò la bocca e, vacillando, sarà ancora nel mondo che mi ha accolta, manipolata, smorzata.
Qualche residuo di questa felicità, lo serberò, forse ne regalerò un poco in una lettera; ma il suo meglio è qui, dentro di me, la verità assoluta di questa strana felicità; in questo punto piccolo di luce, dove sento solo l'eco dell'uomo che amo, ancora qui, a piedi nudi, ancora qui, i capelli sciolti, ancora qui, il viso poggiato alla parete, ancora qui, sul freddo della porta, mentre sento che piano mi abbandona.
Senza lamenti, appena oltre la soglia, appena fuori da quella luce, entro nel buio e nel silenzio, lontana da tutto, ma con un pizzico di quella meravigliosa mutevole felicità.

martedì 7 dicembre 2010

"Carrion (siamo tutti della stessa carne)"

Titolo: "Carrion (siamo tutti della stessa carne)"
Misure e tecnica : 100x140, fotografia digitale
Autore: Miriam De Nicolò
Opera in vendita presso lo spazio Meltin'Pop di Arona



giovedì 2 dicembre 2010

Donna Danno


Sono sempre stata convinta che la diversità avrebbe avuto vita difficile, così come mi sono sempre accorta dell'esclusione delle bambine molto belle, dal gioco del "nascondino".
Una bambina che cresce con questa "religione" disprezza gran parte degli esseri umani, il contatto con la gente diventa doloroso, aprirsi difficile, avere degli amici, impossibile.
Ho avuto anch'io l'amica "del cuore" da bambina, non senza un certo imbarazzo, i sentimenti mi hanno sempre imbarazzato, come succede nel momento di un complimento inaspettato. E ho vissuto, ricordo, i rapporti d'affetto con le mie coetanee, con un trasporto sincero, con uno slancio generoso, che solo una madre come la mia poteva rimproverare. Ero troppo buona, troppo ingenua, bisognava stare attente perchè non si sa mai, non farti fregare, sappiti difendere, non venire a casa piangendo... E forse questi consigli avrei dovuto ascoltarli, perchè dalle femmine che avevo accanto, ho sempre ricevuto fregature.
Un cane maltrattato diventa aggressivo, feroce, una bambina delusa diventa cinica, fredda.
L'immagine che col tempo mi son fatta delle donne, è stata la sintesi, la rappresentazione, l'incarnazione del male. Nulla di più, nulla di meno. Le donne ai miei occhi erano creature subdole, meschine, approfittatrici, bugiarde, e ad essere onesta ne ho avuto le riprove negli anni, non solo nell'infanzia.
Perchè, era la domanda che mi facevo, perchè, cos'avevo fatto di male, qual era il vero problema?
Ero una bambina timida, diligente, prendevo sempre ottimi voti, educata, acuta, per grazia di madre natura molto carina, per grazia di mia madre molto elegante (indossavo abiti sartoriali cuciti e disegnati da lei stessa) e buona, soprattutto. Questo era il problema, troppo buona diceva mia madre...
Giunta alla deprimente conclusione che il rispetto si ottenesse con gli artigli, un giorno, guardandomi allo specchio, vidi la trasformazione, vidi una femminuccia con la gonnellina, voler indossare i pantaloni, una bambina che gioca con la Barbie, far parte di una squadra di calcio, una bambina dalla lacrima facile, difendersi e alzare la voce. Questa è stata la mia legge.
Ho conosciuto molte donne nella mia vita, ragazze incontrate in qualche viaggio in treno e dimenticate dopo un paio di appuntamenti, donnette di periferia dispettose come scimmie, quel tipo di ragazze invidiose di un paio di scarpe più belle delle loro, e queste son durate il tempo di un saluto, trentenni egocentriche incapaci di ascoltare, ma capacissime di vomitare l'incomprensione dei loro ometti, donne belle, donne brutte, donne magre, donne grasse, ma cosa rimane di loro? Ancora mi interrogo.
Il bello delle donne, è che sono creature mutevoli. Tutte. E come cambiano le sorti di un popolo ridotto alla fame, cambiano anche loro.
Essendo anche io di sesso femminile, si deduce lo sia anch'io mutevole.
La visione ingiallita della donna-demonio è cambiata, l'impersonalità di alcune figure è divenuta personale, l'invisibile si è fatto spazio nel mio ambiente, alcune porte mi sono state spalancate senza che io vi abbia mai bussato, il fango è divenuto mare. E tutto senza che me lo aspettassi; TUTTE, sono arrivate come un pacco regalo al mio "noncompleanno".
Ora, davanti ad un tè, in un tempo di lavoro, mi trovo a pensare "che bello conoscere una persona così buona", ora, una frase di conferma al telefono, finisce col divenire una confessione personale e già sento di volere bene a questa donna di cui non conosco il volto.
Il telefono squilla, la posta elettronica è da svuotare, se c'è una festa sono la prima invitata, se piangono, vogliono me al loro fianco, per divertirsi vogliono me perchè ridere fa bene, per i consigli sanno dove abito, le donne mi cercano, mi sembra surreale. Non vedo più ruvidezza nei loro volti, chissà per quale motivo , sono oggi tutte belle ai miei occhi. E' come se le vedessi sotto una luce differente, come illuminate da una candela. Sono intelligenti, romantiche, complesse, curiose, deluse, colte...sono le DONNE. Ah, quanto le amo!