lunedì 23 agosto 2010

Legàmi

(foto di Jan Saudek)

Un rumore familiare d'acciaio, è mia madre che apre la porta blindata di casa. Non è sola; all'altezza del seno, un bambino pallido con le lentiggini, è L., suo nipote, ed ha 7 anni.
L. è l'unico figlio di uno dei miei zii. E' un bambino timido, ma di un'intelligenza vivace, spigliata. Mia madre dice dovrà rimanere con me, mentre lei va a fare delle commissioni.
La visita è inaspettata, ed io non amo le improvvisate. Pensavo di rimanere beatamente a casa, a godermi il silenzio e "Adorata creatura" con in mano una tazza di tè. Obbedisco, come solo in presenza di bambini so fare, e mi levo dall'appicicaticcio divano, spazzolo i capelli, lavo il viso e cerco di sembrare per lo meno simpatica. Qualche attimo di silenzio, nella sala, noi tre, parenti , eppure stranamente estranei. E' l'imbarazzo, mia madre capisce che qualcosa non va, forse crede sia scocciata.
Rimaniamo soli, io e questo corpo troppo magro, troppo piccolo, con occhi troppo grandi. Lui in piedi in mezzo alla stanza, le mani giunte che si scorticano per la timidezza, lo sguardo altrove. Capisco che devo rompere il ghiaccio. Anche con gli under 14, si deve rompere il ghiaccio.
Inizio a fare le solite domande sulla scuola, sullo sport e sul cosa-vuole-fare-da-grande.
Ho sempre avuto un rapporto particolare con i bambini, con la loro purezza, l'ingenuità che so perderanno. Li vedo come ciuffi d'erba nel deserto, verde acceso. E ho sempre instaurato quel tipo di rapporto che loro vorrebbero: paritario. Parlo loro come parlerei ad un adulto, dopo aver rotto il ghiaccio ovviamente. Non uso vezzeggiativi come fanno gli sciocchi o le madri inesperte, non mi rivolgo a loro come fossero degli stupidi inetti o ignoranti senza speranze. Semplicemente parlo. E forse insegno. Con una certa gioia, con la stessa che avrei desiderato io, con la sottigliezza della spiegazione e la profondità del dettaglio.
L. ed io giochiamo a carte ora. Vuole imparare la Scala Quaranta ( Karanta dice lui giustificandosi per aver perso i denti davanti). E' attento e curioso e fa domande e, quando sbaglia accenna ad un sorriso imbarazzato. Io lo correggo seriamente, non gli concedo la vittoria fingendo, non applaudo se la partita è sua; i miei gesti d'approvazione sono lievi risa ed un banale "Bravo", che so apprezza.
Dopo la Scala Karanta è la volta del suo gioco: il gioco degli Stati. Ciascuno deve dire uno Stato del Mondo, fino a quando si esauriranno; gioca così con i suoi genitori. Sono talmente ingenua da credere perderà dopo 10 nomi, invece mi da' del filo da torcere e sono felice. Felice perchè il suo piccolo sapere mi ricorda la Miriam piccina che leggeva libri di Anatomia Umana alla sua età.
Passo del tempo sola con lui e lo trovo sempre più adorabile.
Mia madre torna, altro rumore metallico delle chiavi che volteggiano nella serratura.
Parenti a cena, L. ed io quasi non ci parliamo, ma sento che si è creato un legame, un legame segreto, da vociare solo quando siamo soli.

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