mercoledì 25 agosto 2010

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Ricordiamoci che l'uomo era una bestia, milioni di anni fa, che vigeva la legge del più forte e che si accoppiava come un quadrupede (l'unica cosa che non è cambiata).
Bestie, egoisti, prevaricatori, opportunisti, ruffiani come i gatti vicini alla ciotola vuota.
Tutti i rapporti della mia vita mi hanno visto indipendente, forte, dominante; sono sempre stata la prima (perchè dovevo), sono sempre stata cerimoniosamente corteggiata, ho visto uomini trasferirsi da un capo all'altro dell'Italia, dopo essere stati lasciati, uomini piangere ai miei piedi, implorando un mio ritorno, ma, solo oggi, mi accorgo di quanto poco io possa conoscere l'essere umano. Nonostante abbia un interesse diabolico e sezionatore delle menti altrui, devo ammettere di ignorare forse l'essenza della verità: la menzogna stessa.
In fondo molti dei rapporti a due sono sporcati da piccole o grandi bugie, come negarlo? Come negare che desiderare una storia pulita ed onesta, non sia solo una favola per sognatrici troppo sentimentaliste?
Non sono una sciocca, nè una Penelope che rimane a tessere una tela vivendo nella speranza, ma se a volte mi concedo un attimo di tregua, un lasciapassare, se mi abbandono per un attimo tra le braccia dell'amato in cerca di quelle piccole conferme che ogni donna desidera, mi punisco. E' autodistruggersi, è sapere che quel distacco che hai costruito nel tempo, negli anni, lascia il posto ai dubbi, alle domande, alla ricettività. Tutto cambia. Si diventa come un'aquila con la zampa rotta. Ed io voglio essere solo un'aquila.
Ma la vita è fatta anche di queste cose, banalmente umane, che ci riducono tutti indistintamente ai minimi termini, ed io assorbo, gelosamente, come una qualunque donna ferita, assorbo come una spugna nel punto più sporco del mare. Assorbo e so che tutto questo mi condurrà ad un punto di chiusura totale, dove non esisterà più dolore, ma solo indifferenza. Dove gli altri non esisteranno, dove censurerò ogni spontanea forma d'affetto, dove nemmeno la sincerità avrà più valore.
Ho 26 anni, un solo confidente e molti teschi nell'armadio. Sabato lo indosserò e vedremo che farne...

lunedì 23 agosto 2010

Legàmi

(foto di Jan Saudek)

Un rumore familiare d'acciaio, è mia madre che apre la porta blindata di casa. Non è sola; all'altezza del seno, un bambino pallido con le lentiggini, è L., suo nipote, ed ha 7 anni.
L. è l'unico figlio di uno dei miei zii. E' un bambino timido, ma di un'intelligenza vivace, spigliata. Mia madre dice dovrà rimanere con me, mentre lei va a fare delle commissioni.
La visita è inaspettata, ed io non amo le improvvisate. Pensavo di rimanere beatamente a casa, a godermi il silenzio e "Adorata creatura" con in mano una tazza di tè. Obbedisco, come solo in presenza di bambini so fare, e mi levo dall'appicicaticcio divano, spazzolo i capelli, lavo il viso e cerco di sembrare per lo meno simpatica. Qualche attimo di silenzio, nella sala, noi tre, parenti , eppure stranamente estranei. E' l'imbarazzo, mia madre capisce che qualcosa non va, forse crede sia scocciata.
Rimaniamo soli, io e questo corpo troppo magro, troppo piccolo, con occhi troppo grandi. Lui in piedi in mezzo alla stanza, le mani giunte che si scorticano per la timidezza, lo sguardo altrove. Capisco che devo rompere il ghiaccio. Anche con gli under 14, si deve rompere il ghiaccio.
Inizio a fare le solite domande sulla scuola, sullo sport e sul cosa-vuole-fare-da-grande.
Ho sempre avuto un rapporto particolare con i bambini, con la loro purezza, l'ingenuità che so perderanno. Li vedo come ciuffi d'erba nel deserto, verde acceso. E ho sempre instaurato quel tipo di rapporto che loro vorrebbero: paritario. Parlo loro come parlerei ad un adulto, dopo aver rotto il ghiaccio ovviamente. Non uso vezzeggiativi come fanno gli sciocchi o le madri inesperte, non mi rivolgo a loro come fossero degli stupidi inetti o ignoranti senza speranze. Semplicemente parlo. E forse insegno. Con una certa gioia, con la stessa che avrei desiderato io, con la sottigliezza della spiegazione e la profondità del dettaglio.
L. ed io giochiamo a carte ora. Vuole imparare la Scala Quaranta ( Karanta dice lui giustificandosi per aver perso i denti davanti). E' attento e curioso e fa domande e, quando sbaglia accenna ad un sorriso imbarazzato. Io lo correggo seriamente, non gli concedo la vittoria fingendo, non applaudo se la partita è sua; i miei gesti d'approvazione sono lievi risa ed un banale "Bravo", che so apprezza.
Dopo la Scala Karanta è la volta del suo gioco: il gioco degli Stati. Ciascuno deve dire uno Stato del Mondo, fino a quando si esauriranno; gioca così con i suoi genitori. Sono talmente ingenua da credere perderà dopo 10 nomi, invece mi da' del filo da torcere e sono felice. Felice perchè il suo piccolo sapere mi ricorda la Miriam piccina che leggeva libri di Anatomia Umana alla sua età.
Passo del tempo sola con lui e lo trovo sempre più adorabile.
Mia madre torna, altro rumore metallico delle chiavi che volteggiano nella serratura.
Parenti a cena, L. ed io quasi non ci parliamo, ma sento che si è creato un legame, un legame segreto, da vociare solo quando siamo soli.

giovedì 19 agosto 2010

mercoledì 18 agosto 2010

Mistero della Fede

Guardo un video dove il figlio di Richard Avedon parla del padre e si blocca per l'emozione. Piango anch'io con lui, piango il suo stesso dolore, il dolore della perdita. Piango anche per il genio che abbiamo perduto, l'uomo che sapeva vedere attraverso la fotografia, il suo mezzo.
Riguardo alcuni dei suoi scatti (dei miracoli dell'immagine) e capisco perchè amo quest'arte; non me n'ero mai resa conto prima d'ora. E' la storia che mi affascina. La storia, il racconto dell'immagine, il suo momento, l'attimo dello scatto, l'energia che si instaura tra fotografo e soggetto, le parole che vengono dette e quelle taciute...la storia del soggetto stesso.
Non ho mai razionalizzato sul perchè io abbia iniziato a fotografare. E' stato un atto quasi inconscio, un inizio, una nascita di una nuova parte di me.
Perchè prediligo i soggetti femminili a quelli maschili? Perchè ci sono alcune immagini a cui sono più legata e ad altre meno? (e sono tutte mie, scattate con la stessa intensità). Perchè scelgo quella donna piuttosto che l'altra? Ecco, la mia Fotografia, nasce come processo autobiografico; racconto me stessa attraverso gli altri. Potrei realizzare un selfportrait per questo, ma è come fosse troppo diretto, troppo esposta la mia persona, è come scoprirsi, denudarsi, tralasciando tutta la magia dello svestimento. E allora ci sono le modelle (che brutto termine), ci sono le donne, le donne che amo, a mio modo e percorro insieme a loro il mio racconto, la storia.
Non è necessario che sia "banalmente intelligibile" uno scatto per "esprimere" un concetto; una foto di moda può celare molti tratti dell' intenzione del fotografo, eppure rimane una foto di moda. Al contrario esistono fotografi che volutamente cercano di nascondere il loro carattere, i tratti della personalità, ma "naturalmente" la foto li rivela, ecco che qui l'immagine diventa "reale", veritiera e menzognera. Rivela ciò che lui voleva nascondere e inganna il fotografo che l'ha creata, mentendo al suo intento.
Ogni foto ha con sè del vero, anche lo scatto di un semplice muro bianco, che non porta alcun significato eppure li sottintende tutti. (come il foglio bianco da riempire).
La fotografia rimane per me ancora un mistero. Mi ci addentro come in una foresta fittissima, ho paura ma so che senza quella paura non potrei sopravvivere.

(foto di Richard Avedon)

martedì 17 agosto 2010

Voci

Il privato non deve per etica rimanere privato, non sempre.
Esistono pensieri inconfessabili, da poter essere definiti privati; le mie preghiere sono private, eppure molta gente prega in Chiesa, in mezzo alla folla zoppicante.
La spazzatura è privata, i panni sporchi, i momenti del trucco al bagno sono privati.
La morte dovrebbe essere un atto privato.
I sentimenti no. I sentimenti sono sfacciati, goderecci, urlanti. Ordino volumi di Violet Trefusis, di Vita Sackville West, di Virginia Woolf, guardo "Portrait of a marriage" e ci sei tu, qui, sempre presente, in ogni gesto, in ogni giorno.
Prego il cielo affinchè mi ripari dalla pochezza, perchè la rabbia è delle bestie ed io intanto inciampo nel mio genere... Donna, come tutte le altre, patetica, gelosa, morbosa.
E' che oggi non indosso il reggiseno, medium bizzarro, serve solo a separarci da noi stesse.
Ma quand'è che impareremo ad essere chi siamo?
I miss you.
(nell'immagine Violet Trefusis)

lunedì 16 agosto 2010

Amore di una serial killer

Ricordo:
New York e la persona che amo, non chiedo di più.
I ragazzi quando vedono le foto dove sono ritratta usano aggettivi come altera, sprezzante, snobbish, disinteressata. Rispondo -Così sono-. New York mi vede anche in altro modo, vede quella spontaneità del pudore femminile, che nasce come una forma piacevole di civetteria. Questo siamo: travestite da innocenti nel senso più alto del termine, travestite perchè inclini al peccato. Come negarlo?...
New York e il peccato, N.Y. e la fuga.
7 th Avenue , breakfast al Petrossian, perchè sarebbe un errore non coccolarmi con queste delizie.
F. conosce perfettamente, più di chiunque altro, il mio lato infantile, quello desideroso di attenzioni e "presenza" e "contatto" e piccoli vizi; F. conosce il mio carattere erotico e ne ha calcolato tutti i rischi, crede...
Siamo una "strana coppia", 20 anni ci separano, 70 i km tra la sua e la mia casa, troppi i segreti. E quando si strappa una confessione non c'è via d'uscita: bisogna uccidere.
La norma della mia condotta è molto semplice, il segreto deve essere rivelato liberamente; sotto pressione è un disastro, perchè tutto ha fine, dopo di allora. Disprezzo così gli insistenti, i ficcanaso, le promesse.
N.Y. e il ns rapporto drammatico, il sushi su una panchina del Central Park, i pianti al Metropolitan Museum perchè F. non ama Dalì ed io non posso condivere la mia gioia, l'oeufs bènèdict che mi danno la nausea. Tutto qui ha un sapore diverso e berrei tutto in una sorsata di piacere, ma centellinare ogni goccia, per non far scadere questo tempo da favola, è quello che devo.
Non sono mai stata spettatrice nella mia vita, ho sempre recitato da protagonista, questa storia però ha dell'incredibile. Is not an ordinary love. C'è qualcosa di sorprendente che ha effetto su di me e comincia a prendere piede, si fa posto nella categoria "interessante", poi sotto "abbandono". Abbandono...come il ns primo bacio, su quel divano; ricordo l'odore caldo del suo studio, le braccia amate e ancora sconosciute.

Come ogni donna di rispettosa intelligenza, anch'io sono un'assassina.
Ogni serial killer, si sa, è solito uccidere sistematicamente allo stesso modo. Ora, non potrei certo rivelare la mia "firma" (che scatenerebbe il delirio tra amanti e psicanalisti), eppure, così lontana dal rivelarmi, F. mi ha ipnotizzato in questa grande mela. F. mi teme proprio perchè mi ama. Io odio F. proprio perchè l'amo. Ma non c'è traccia di rabbia o rancori nel combattimento, nessuna guerra disastrosa, solo l'orgoglio di due intelligenze troppo vivaci, troppo fredde e ciniche per poter dire "mi arrendo"...
...
L'arresa è arrivata. L'arrendevolezza. E mantenermi in uno stato d'animo analogo, per tutta la vita, equivale al delirium tremens.
L'unica da cui dovrei astenermi è me stessa.


venerdì 13 agosto 2010

Micol

Riguardando un servizio fotografico di moda, fatto qualche tempo fa, ritrovo una foto e mi diverto a post-produrla. La modella è Micol Ronchi (Chiambretti Night).
Per chi volesse vedere il servizio pubblicato (My Way), allego link:
http://www.picupmagazine.com/picup03/index.html

mercoledì 11 agosto 2010

Martina







TPW, Toscana, fine delle sessioni fotografiche dei corsisti.
Martina è la modella di Philippe Pache, mi chiede di farle delle foto.
Si libera dal leggero vestito che indossa e facciamo qualche scatto in mezzo alla natura.
Questo il risultato, questa è libertà.
Grazie Martina.







martedì 10 agosto 2010

Cassandra


E' notte, e niente di più opaco esiste quanto i miei pensieri, ora, su questo divano caldo delle mie conche.
E' notte e dovrei scrivere alcuni articoli per il giornale, ma ogni cosa qui me lo impedisce: l'armadio che contiene le mie foto di bambina, foto che non ho il coraggio di guardare, la parete vuota, in attesa di quel quadro preso alla mostra di Schiele, la collezione dei 100 cd per pianoforte; tutto è carico di quel colore scuro e granoso che mi tormenta.
Bisogna imparare a convivere con l'insonnia, con quel bruciore di stomaco che ha il mangiatore di spade. La mia medicina è la scrittura. Scrivo e mi libero di un peso, il corpo diventa più leggero e i pensieri si schiariscono. A 6 anni era così, con le poesie, che venivano appese alle pareti della mia classe per volere delle maestre, a 12 con il diario, nascosto, clandestino, peccaminoso, a 20 con le lettere scritte a mano, sigillate da ceralacca, oggi le mie dita suonano su tasti quadrati, dove i numeri formano parole e la pagina svuota il mio vuoto. I blog sono apostoli della rete. Ho sempre odiato la tecnologia.

Potessi dar voce a tutti gli impulsi notturni, scriverei un libro ogni incubo.

Ai piedi del letto ho sempre un block notes ed una penna, per non perdere l'ispirazione del momento, carpe diem; ma la pigrizia sopraffà il bisogno.
Nel mio letto, sola, a luci spente, le conversazioni immaginarie sono delle più disparate: parlo col postino che oggi mi ha consegnato un pacco, con il giapponese a cui ordino un take away, con l'uomo che al semaforo mi ha sorriso dentro la sua auto. Passo molto tempo in questo modo, a interloquire sul futuro appuntamento, sul mio abito, o sull'acconciatura o sul perchè porto le scarpe di quel colore o il rossetto di un altro. Mi è capitato spesso di rivedere queste scene nella realtà. Tutto diventava reale, come fossi veggente, una specie di strega, come dire... Ma non mi sono mai soffermata tanto sulla questione, di cose strane me ne capitano... Come quella volta in cui, lo stesso giorno, nell'arco di poche ore, si era fermato il tempo: il mio orologio da polso non ticchettava più, quello in cucina nemmeno, e neanche quello del mio compagno di allora. E pensavo che forse desiderando ardentemente qualcosa, si potesse esaudire...come il mio bisogno di fermare l'istante. Ricordo che tutti i ragionamenti scientifici, non riusciavano a darmi risposte convincenti. Sono sopravvissuta ugualmente. Anche senza risposte. Io che ne chiedo sempre.

E' notte, indosso una jupe di pizzo bianco, amo la biancheria in pizzo, il vedo/non vedo, il gioco del tessuto che fa da seconda pelle, che scopre quando il corpo si muove appena.
Amo essere in ordine anche nel momento del riposo, dovessi morire nel sonno, mi troverebbero bella come viva...
E' notte e ancora la stanchezza non arriva, ma quando chiuderò gli occhi avrò già pettinato i lunghi e setosi capelli, avrò lo smalto lucente sulle dita ed il profumo di questo mese d'estate.
E' notte e volo in Francia...
(nell'immagine Cassandra, figura mitologica - Evelyn De Morgan 1878)

Uomini

(nell'immagine Katharine Hepburn e Spencer Tracy)

La personalità di un uomo è tutta lì, nelle sue paure.
Miriam De Nicolò

lunedì 9 agosto 2010

I miei 18 anni

Ricordo:
Sono al Four Season, uno dei ristoranti più prestigiosi di Milano, appena maggiorenne. Sono con L., l'uomo che amo, che credo di amare; a 18 anni non ti aspetti nulla dell'amore, ti butti incoscientemente senza paracadute, l'importante è "sentire".
Sono elegante, in nero per non sbagliare, un'eleganza sobria, ho 18 anni appena ma ne dimostro 23, 24 dicono. Ho sempre dimostrato più della mia vera età.
So perfettamente come ci si comporta in un luogo come questo, dove i camerieri formalissimi portano il papillon e si rivolgono a me dandomi della "signora". Non mi sono mai sentita troppo piccola per essere "signora".
L. dice sempre che ho un collo aristocratico, lungo e magro, raffinato. Io penso solo sia ricettacolo dei suoi morsi.
Il ristorante è curato nei minimi dettagli, non ricordo il menu di quella sera, ma ricordo le persone ai tavoli intorno a noi, lingue estranee e coppie attempate e contraffatte.
Qualche mese prima mi aveva portato a cena in un antico castello del 1700, ricordo le scalinate infinite per raggiungere la sala. Molti i clienti quella sera, e ricordo di aver incontrato il gioielliere di mia conoscenza (il mio amore era ricompensato da piccole coccole) e già leggevo nei suoi occhi di cinquantenne il mio essere "signora"...
Dicevo, siamo al Four Season e non tocco il pane finchè non sarà servita una vivanda, non tengo le mani poggiate sulle ginocchia tra una portata e un'altra, so perfettamente come lasciare le posate sul piatto a fine pasto.
So che L. apprezza tutto questo, le ragazzine della mia età, invece, sono ingenue, imprudenti, sfacciate.
L. mi supera di 10 anni, è un uomo ossessionato dagli affari, dalle ambizioni, dai giudizi del padre.
Io non so come, ma anche quando non mi parla apertamente, capisco. Ho sempre goduto della forza dell'empatia, questo non lo si può negare.
La cena con L. è come le cene che seguiranno nella mia vita. Nessuna differenza, se non l'affinamento dell'arte della seduzione.
Il mio sguardo è sempre distaccato dal resto del mondo, quasi infastidito, diffidente; cammino sciolta con passo deciso, ancheggiando (ma questo è un dono di natura), pare che tutto intorno mi sia invisibile, invece scruto con attenzione ogni minimo spostamento, come una bestia in caccia di preda. Il mio viso ha sempre un'aria candida, buona, e questo spiega perchè agisco sempre con facilità...
Non mi lascio mai cogliere impreparata durante la conversazione a tavola; chiacchierare durante un pasto è la cosa che amo di più, dopo il sesso. Complice anche la passione per l'arte che abbiamo in comune.
A L. per sedurmi basta il suo pomo d'Adamo, pronunciato, pungente per la barba incolta, virile; io, a volte, sfido il suo autocontrollo sotto il tavolo, con un piedino malizioso, che si inarca fino sopra il polpaccio, lì, dove finisce la calza in filo di Scozia.

I miei 18 anni hanno già tutta la passionalità che mi appartiene, tutto il dolore che soffoco e tutto il vino che berrò. Ci sarà vino d'annata per altre cene, ci sarà passione in ogni letto e ci sarà il dolore delle perdite, degli addi. Questo già lo so, nei miei piccoli, grandi 18 anni.

(foto di Helmut Newton)

Donne

(foto di William Klein - Parigi)

"Le donne hanno una fortuna tanto ingombrante
quanto la loro più grossa sfortuna".
Miriam De Nicolò

venerdì 6 agosto 2010

(foto di Robert Mapplethorpe, 1977)

Quando la donna dice di un uomo: "E' pieno di risorse",
non si riferisce a quelle dell'intelletto!
Miriam De Nicolò

martedì 3 agosto 2010

Nel silenzio


E' la corda calata nel pozzo senz'acqua, prima di morire, è il libro che ti cambia la vita, la parola della salvezza.
E' il capricorno con i Pesci, è la ripetizione del nome sul foglio, come si faceva a 12 anni con i primi innamoramenti, è l'opposto della dispersione casuale delle arti, è l'ordine in casa.
E' contro l'inghiottimento nella stupidità, è il codice muto, è il -A cosa pensi?-, -Quali sono i tuoi pensieri?-
E' la clandestinità.
E' il nome che non potrò mai dire.

Disgressioni

Quando si guarda da un punto di vista ristretto, tutto il resto ha più importanza; le grandi città, le mete più ambite, "le Americhe"...
Io vivo in una cittadina che ha come santo uno tra i più grandi vescovi della storia della Chiesa; qui, dicono, sulle rive del lago, tutto è più bello: la vista, le aree verdeggianti, l'aria pulita, ma nessuno, chiuso nella propria ipocrisia, parla delle "offerte" di questa cittadina.
Aperta e chiusa una parentesi, per non cadere stupidamente nelle polemiche, perchè polemica non voleva essere e nemmeno un messaggio, riconosco quel che mi è accessibile, a grandi linee: il pane, il telefono, i libri, la ragnatela (web?), gli uomini.
Uomini a cui racconto i miei peccati (non sono preti), uomini a cui confido le mie pene (non sono amici), uomini a cui ometto tutto (non sono amanti).
Se vedo in modo assolutistico ed esagerato la realtà, entro in crisi. La realtà è che in realtà io non dico niente a nessuno. Non racconto dei miei pensieri a mia madre, non all'amica, non al compagno, non alle amanti e così via...Basti che sia un essere umano, l'entità di fronte a me, per indietreggiare di venti passi, ancor prima che io pronunci una vocale. E tutto quello che dico è un falsario in serie, un anagramma di numeri primi, di formule di cui nemmeno io conosco il risultato. Una sorta di nichilismo filosofico della vita.
Mi urtano gli ottusi, mi fanno venire l'orticaria, non scherzo, oggi ho il viso pieno di macchie. Fastidio anche verso i timidi imbranati, non i timidi secchioni, topi da biblioteca, quelli li adoro. Freddo distacco altezzoso nei confronti dei belli, forse per metterli in difficoltà, loro che credono di avere in pugno la vita. E le belle? Le dee? Quale effetto mi fanno? Le Veneri hanno lo stesso effetto di una città vista la prima volta: l'imponenza delle Chiese ed un "Oooooh", il pregio del centro storico ed un "Uuuuuh", la bellezza delle case ed un "Eeeeeh", insomma un canto di vocali!
Le belle sono così, inarrivabili per definizione, anche fossero cattive o stupide. Vanno bene lo stesso. Nessuna intolleranza, credo.
Quando frequentavo le elementari facevo collezione di spille (spille gialle, rosse, piccole, grosse, tonde, quadrate, a pois, striate), più avanti sono passata alle borse ( pelle, pochette, clutch, vintage, moderne), ora mi sento una collezionista di emozioni ( a volte le frasi scontate possono tornare utili!). Fatto sta, disgressioni a parte, che una cosa l'ho imparata nella mia giovinezza arzigogolata:
un'emozione è un'emozione. Niente di più. O niente di meno. Può portare a passione, a dolore, a morte. Tutte parole che hanno a che fare col banale, sentito e ritrito, soggetti di canzoni e canzonette, di poemi e poesiole, autori o presunti tali, ma rimangono sempre emozioni. E lasciarsele scappare è cosa da stupidi. E noi non lo siamo.























(nell'immagine Madame de Pompadour ritratta da F. Boucher)

lunedì 2 agosto 2010

Simona

La vedo per la prima volta, subito mi viene in mente un cigno, leggera, con i capelli soffici che le cadono sulle spalle, lungo il corpo magro, bianco. Ha le gambe più eleganti che abbia mai visto, le guance rosa come quelle di una bambina, delle labbra carnose ma non impudìche, serie, ha delle labbra serie, come la sua persona. Simona è la modella di Settimio, al TPW, Toscana.
Una ragazza dalla bellezza fredda, ma non fredda come quella delle ragazze nordiche, di ghiaccio, no, una bellezza composta.
Facciamo pochi minuti di scatti in stanza, lontane dal caos, dal caldo delle campagne toscane.
Questo lo scatto che ne esce e la gioia delle sue parole: "Hai colto il mio Io". Nulla poteva rendermi più felice.

domenica 1 agosto 2010

Al TPW

TPW - Convento di Sant'Anna in Camprena (ultimo giorno, pochi minuti di scatti)
Grazie a Settimio Benedusi
Grazie alla modella Martina