martedì 14 dicembre 2010

Le risa contano poco se non si è pianto insieme


Mi sarà sempre impossibile leggere Platone, se sento urlare l'ignorante che si elegge a legge.
Mi sarà sempre impossibile evitare smorfie di sdegno, se due amiche si appellano con "meretrice" sorridendo.
Non mi sono mai impegnata a farmi voler bene; mi si ama o mi si odia. Ed è normale, gli uomini mi amano e le donne, bè solo alcune donne mi amano; il resto è incline all'invidia, alla gelosia, alla cattiveria. Le donne che presso di me si sono rifugiate, scaldate, innamorate, sono anni luce lontane dalla mediocrità, dall'ipocrisia, dalla menzogna. Sicure perchè belle, altezzose perchè intelligenti, capaci di un tale disprezzo verso le meschine, che è normale le si odi, queste donne non scendono a compromessi; trionfano, tutti qui.
Per alcuni uomini la complessità è una malattia difficile da debellare, per uomini che mangiano, bevono soprattutto, dormono, se sono fortunati e trovano le amiche (quelle che si appellano con "ehi, meretrice..") , potrebbero anche sperare di copulare. Per altri, la complessità, è l'eccitazione che si fa urgenza di vivere, è l'istinto verso l'unicità, il bisogno del meglio, la voglia di entrare in un più profondo contatto.
Per sfortuna della categoria femminile (che io amo, terrei a precisare), ho constatato la difficoltà di alcune singole, nel distinguere il sentire e il ragionare. Succede alle limitate, quindi, di riuscire a sentire, poniamo come esempio il momento intimo a letto, di provare delle sensazioni, ma senza la capacità del ragionamento. Sentono e basta. L'altra categoria, invece, ha la doppia capacità, ed ogni attività viene inglobata da mente e corpo e in alcuni casi tutto diventa fisicamente coinvolgente e mentalmente distaccato. O viceversa.
Mi capita, per entrare in un'atmosfera precisa, prima di scrivere una lettera, prima di un incontro, prima di fare l'amore, di bere qualche sorso di Colette o di M.Callas o Baudelaire e in questo modo sento di avere la vena giusta, di poter scivolare in quella via. E mi chiedo, quando sento certe "uscite" da boccacce non lavate, cosa fanno queste per arrivare a tanto? Una sorsata di Coca-Cola e flato libero? Queste che masticano bocconi di cibo come maschiacci male educati, che ruminano cicche facendo veder l'ugola arrossata. La verità è che spengono in me ogni desiderio, ogni voglia di contatto, anche la più banale, anche quella del saluto (che quasi mai nego). La verità è che io ho bisogno di stimoli, ma solo davanti a queste fiamme spente, mi si arrovella l'intestino dallo sprezzo; ho bisogno di stimoli e stimoli voglio dare anche alle persone che mi stanno accanto e quando vedo con tristezza, che di queste persone si circondano, alcune persone che io amo, capisco la debolezza degli uomini, degli esseri, dell'intelligenza stessa.
I punti deboli dei bagagli altrui sono così pesanti, da poterli vedere ad occhio nudo. Cassiere ai loro posti in un supermercato ridacchiano delle belle fanciulle che passano, le loro risa coperte da quei "biiip, biiip" delle casse, saranno pianti delle 21.00, quando staccheranno e a casa non le aspetterà nessuno. Parrucche colorate che coprono l'assenza di personalità di una ragazza in discoteca, a quale età non si sa, si è perso il conto tante sono le volte che la si è vista; beve per dimenticare, ma dimenticare cosa? La mattina sarà sempre la stessa, solo più stordita e con un alito insopportabile. Io, qui, nella tranquillità del mio disordine, aspetto solo i loro danni e guarderò la loro degradazione scivolare insieme ai loro anni, mentre i loro amici mi diranno in coro :"Avevi ragione. La complessità è migliore". E poi finisce sempre che l'uomo, malinconico, si ferma a pensare, dopo che la musica ha cessato di suonare, vede la pista vuota, le "meretrici" saranno in qualche squallida toilette (che loro chiameranno con un altro nome), le tracce di rossetto sulla camicia; fuori, la solitudine. Il momento d'estasi è finito, l'ebbrezza alcolica cala e, cosa rimane? Le risa contano poco se non si è pianto insieme.
Insistiamo a vivere, ma non sappiamo quale direzione prendere e vaghiamo incerti, per di qua, per di là, oltre la siepe o non attraversando quella siepe. Padroni, padroni di noi stessi, liberi di sprofondare negli abissi più oscuri e inesplorati, nelle acque della complessità o liberi di galleggiare, perchè meno faticoso, meno rischioso. Io ho deciso di scendere, di non veder nulla, ho scelto il buio; sono un essere errabondo e mutevole, ondoso, nodoso, sensuale e teatrale e per una vita come questa si rischia di innamorarsi.

domenica 12 dicembre 2010

Le ore


E' proprio oggi, in questo preciso giorno, in questo preciso istante, che tutto mi è chiaro.
Il silenzio, quel silenzio intorno ai volti, alle feste, alle teste, quella fedele visione imperfetta del mondo, delle cose, ora, ha un senso, una luce.
Arriva la tenera atmosfera natalizia, tutta luci e melodie e sembra così facile abbandonarsi. In mancanza di affetti, un'atmosfera così, può fare compagnia. In casa, ora, il buio. E l'albero di Natale, e il rosso e l'oro accesi, poi, di nuovo il buio. Passeggio nel tepore delle stanze, così, a piedi nudi, la cintura della vestaglia che tocca terra, il viso pallido, la bocca del mattino, senza colore, senza ancora alcuna traccia di sapori, nell'immensità del silenzio. E' questo che amo, è questo che sono. Mi guardo intorno, in una casa che vivo quotidianamente, una casa che ora, mi par di vedere per la prima volta. Penso di fronte a quale scosceso precipizio mi sia trovata nell'arco di questi lunghi anni, negli sbalzi gioiosi e folli e nel terrore del tempo, questo tempo a me nemico, nell'inconsapevolezza di vivere una vita mia o una vita inventata. Una vita pur sempre possedduta e sentita, una vita di affanni, una vita in cui il sogno mi vede sola, una vita conquistata.
Dalle finestre, il riflesso oro delle luci a intermittenza, il mio viso, sereno, la mia bocca, sorridente. A occhi chiusi sono nella cucina, oggi ho solo voglia di sapori dolci. Il fuoco mi abbaglia, deciso, di una serpentina bellezza, scalda quel che io berrò. E' un momento soffocante e magnifico e preparo qualcosa per me soltanto e potrei vivere di questi gesti una vita intera.
Il cielo, fuori, si fa sempre più scuro, per qualche secondo, le luci delle case fredde, distanti, mi abbagliano; tra i suoni delle campane mi ritrovo, sono ancora qui, dentro la mia casa, sono ancora qui, mi rifugio. Così certa di riconoscere la felicità, in una domenica che ricorderò, se l'emozione non m'inganna.
Amo il suono argenteo del cucchiaio nella tazza, mentre mescolo lo zucchero nel tè, amo il suono felpato delle mie vesti che toccano incatue i mobili che passo, amo il suono della carta tra le mani, mentre sfoglio le pagine dei libri, ubriaca di gioia, fradicia di lacrime. Terribilmente felice. Terribilmente. Nessuna felicità ha il suono di un'arpa. La felicità è un "la" a caso, è il "la" di un indice che sfiora un pianoforte.
Lentamente esplode la mia felicità, lentamente ne bevo e aspetto che finisca. Penso, onestamente, a chi riuscirebbe a comprenderla, se nemmeno io so delinearne la forma. Penso -cosa rimane alla fine?-. Asciugherò il viso, disegnerò la bocca e, vacillando, sarà ancora nel mondo che mi ha accolta, manipolata, smorzata.
Qualche residuo di questa felicità, lo serberò, forse ne regalerò un poco in una lettera; ma il suo meglio è qui, dentro di me, la verità assoluta di questa strana felicità; in questo punto piccolo di luce, dove sento solo l'eco dell'uomo che amo, ancora qui, a piedi nudi, ancora qui, i capelli sciolti, ancora qui, il viso poggiato alla parete, ancora qui, sul freddo della porta, mentre sento che piano mi abbandona.
Senza lamenti, appena oltre la soglia, appena fuori da quella luce, entro nel buio e nel silenzio, lontana da tutto, ma con un pizzico di quella meravigliosa mutevole felicità.

martedì 7 dicembre 2010

"Carrion (siamo tutti della stessa carne)"

Titolo: "Carrion (siamo tutti della stessa carne)"
Misure e tecnica : 100x140, fotografia digitale
Autore: Miriam De Nicolò
Opera in vendita presso lo spazio Meltin'Pop di Arona



giovedì 2 dicembre 2010

Donna Danno


Sono sempre stata convinta che la diversità avrebbe avuto vita difficile, così come mi sono sempre accorta dell'esclusione delle bambine molto belle, dal gioco del "nascondino".
Una bambina che cresce con questa "religione" disprezza gran parte degli esseri umani, il contatto con la gente diventa doloroso, aprirsi difficile, avere degli amici, impossibile.
Ho avuto anch'io l'amica "del cuore" da bambina, non senza un certo imbarazzo, i sentimenti mi hanno sempre imbarazzato, come succede nel momento di un complimento inaspettato. E ho vissuto, ricordo, i rapporti d'affetto con le mie coetanee, con un trasporto sincero, con uno slancio generoso, che solo una madre come la mia poteva rimproverare. Ero troppo buona, troppo ingenua, bisognava stare attente perchè non si sa mai, non farti fregare, sappiti difendere, non venire a casa piangendo... E forse questi consigli avrei dovuto ascoltarli, perchè dalle femmine che avevo accanto, ho sempre ricevuto fregature.
Un cane maltrattato diventa aggressivo, feroce, una bambina delusa diventa cinica, fredda.
L'immagine che col tempo mi son fatta delle donne, è stata la sintesi, la rappresentazione, l'incarnazione del male. Nulla di più, nulla di meno. Le donne ai miei occhi erano creature subdole, meschine, approfittatrici, bugiarde, e ad essere onesta ne ho avuto le riprove negli anni, non solo nell'infanzia.
Perchè, era la domanda che mi facevo, perchè, cos'avevo fatto di male, qual era il vero problema?
Ero una bambina timida, diligente, prendevo sempre ottimi voti, educata, acuta, per grazia di madre natura molto carina, per grazia di mia madre molto elegante (indossavo abiti sartoriali cuciti e disegnati da lei stessa) e buona, soprattutto. Questo era il problema, troppo buona diceva mia madre...
Giunta alla deprimente conclusione che il rispetto si ottenesse con gli artigli, un giorno, guardandomi allo specchio, vidi la trasformazione, vidi una femminuccia con la gonnellina, voler indossare i pantaloni, una bambina che gioca con la Barbie, far parte di una squadra di calcio, una bambina dalla lacrima facile, difendersi e alzare la voce. Questa è stata la mia legge.
Ho conosciuto molte donne nella mia vita, ragazze incontrate in qualche viaggio in treno e dimenticate dopo un paio di appuntamenti, donnette di periferia dispettose come scimmie, quel tipo di ragazze invidiose di un paio di scarpe più belle delle loro, e queste son durate il tempo di un saluto, trentenni egocentriche incapaci di ascoltare, ma capacissime di vomitare l'incomprensione dei loro ometti, donne belle, donne brutte, donne magre, donne grasse, ma cosa rimane di loro? Ancora mi interrogo.
Il bello delle donne, è che sono creature mutevoli. Tutte. E come cambiano le sorti di un popolo ridotto alla fame, cambiano anche loro.
Essendo anche io di sesso femminile, si deduce lo sia anch'io mutevole.
La visione ingiallita della donna-demonio è cambiata, l'impersonalità di alcune figure è divenuta personale, l'invisibile si è fatto spazio nel mio ambiente, alcune porte mi sono state spalancate senza che io vi abbia mai bussato, il fango è divenuto mare. E tutto senza che me lo aspettassi; TUTTE, sono arrivate come un pacco regalo al mio "noncompleanno".
Ora, davanti ad un tè, in un tempo di lavoro, mi trovo a pensare "che bello conoscere una persona così buona", ora, una frase di conferma al telefono, finisce col divenire una confessione personale e già sento di volere bene a questa donna di cui non conosco il volto.
Il telefono squilla, la posta elettronica è da svuotare, se c'è una festa sono la prima invitata, se piangono, vogliono me al loro fianco, per divertirsi vogliono me perchè ridere fa bene, per i consigli sanno dove abito, le donne mi cercano, mi sembra surreale. Non vedo più ruvidezza nei loro volti, chissà per quale motivo , sono oggi tutte belle ai miei occhi. E' come se le vedessi sotto una luce differente, come illuminate da una candela. Sono intelligenti, romantiche, complesse, curiose, deluse, colte...sono le DONNE. Ah, quanto le amo!

mercoledì 17 novembre 2010

Ho scelto l'amante inglese, e non per il suo accento

Ho scelto "l'amante inglese". Nessuna avventura, ma un film, di Catherine Corsini, un triangolo amoroso dal finale tragico. L'attrazione, la passione, le conseguenze, cita la regista; scelgo sempre trame in cui so potermi "distruggere" o "immedesimare", non a caso sono giunta, alla fine del film, a diverse conclusioni.

Un amante lo si sceglie (cito motivazioni generiche, che appartengono a casi e donne differenti)per le capacità amatorie, per il bisogno di fuggire da una vita monotona, per attrazione sessuale, per dispetto, perchè il proprio compagno è fuori città, perchè i sex-toys sono spariti dalla cassaforte.

La ricerca del tradimento diventa un rito, e diventa necessario prepararsi con dovizia, come la fedele indossa "l'abito della domenica" per pregare in chiesa.
Una necessità che si finisce per amare e ritenere indispensabile, una voce divina che spinge ad andare avanti.

La bugia causa, quando abusata, una sorta di vanità; ci si compiace, ci si impegna.

Alcune donne tradiscono per il gusto di essere "scoperte" (dal proprio compagno/marito).
Altre per il gusto di essere "scoperte", punto!

Difficilmente una donna sbaglierà il nome di chi ha nel letto. Le più smemorate lo annoteranno sui post-it sopra la spalliera, altre direttamente sulla mano. C'è anche chi se lo tatua, ma questo è per le sentimentaliste (oh mamma, ci sono passata anch'io ...e il tatuaggio è rimasto)

Le donne con molte amanti, hanno poche amiche...non hanno tempo per il tè, per lo shopping e il gossip. Fanno acquisti dell'ultimo minuto in boutique di lingerie, con le commesse che le guarderanno in cagnesco per l'orario e per la scelta dei pizzi.

Una donna sciocca sarà sempre single o "felicemente accoppiata", un amante diventerebbe troppo impegnativo, si farebbe sfuggire i particolari alle pettegole del circondario che, per invidia, affiggerebbero foto e nomi su ogni pino del paese.

La donna fedele si riconosce dal comportamento che ha con gli amici del partner; è socievole, simpatica, affettuosa e anche "dimostrativa", con gesti d'intesa, abbracci etc.
La donna infedele si lascerà semplicemente guardare.

La donna infedele è una bambina ferita. Si preoccuperà solo di far male a chi l'ha spinta.

Una donna infedele deve saper discorrere di Boldini, così come di Poiret o di Chabrol. Mai farsi trovare impreparate di fronte ad un artista; il loro egoismo ed egotismo saranno i punti più deboli...

Il lato nascosto di una donna audace nel raggirare, è sempre tragico e commovente.
E per ora chiuderei qui...perchè un po' di umorismo ogni tanto non guasta!



(Baigneuse endormie - Chassériau 1850)
Alice Ozy, cortigiana, prima amante del pittore T. Chassériau, gelosissimo.
Victor Hugo le scriverà questa dedica: "Platone avrebbe voluto vedere Venere uscire dall'onde. Io preferirei vedere Alice entrare nel letto."

martedì 2 novembre 2010

Così come viene

Arriva il flusso di coscienza a cui devo dar voce, quella che, come un uragano, distrugge tutto: le certezze, le illusioni, le piccole gioie custodite.
Se scrivo, non è certo per elencare il centinaio di libri che ho acquistato o per descrivere le cavità che ha esplorato la mia lingua. Se scrivo è solo per distruggere. Distruggere il disturbo, il fastidio del peso che sento con una puntualità innaturale, in certi momenti della vita. Scrivo per cercare di alleggerirlo, questo peso, per digerirlo e accettarlo come si accetta un figlio "disturbato".
Spiegarlo non ha senso, non è nemmeno utile, è come la ricerca della "trama perfetta" per uno scrittore; non è forse più interessante l'aspetto psicologico del protagonista?
Amore. Una parola che non posso leggere, una parola che non sopporto, troppo abusata, troppo derisa, troppo confusa, troppo astrusa. Amore e Affetto: due mondi paralleli. Chi ama, lotta. E lotta contro l'amato, il suo nemico più sanguinario. L'affetto protegge, è consapevole dei propri limiti. Come possono tutte le coppie del mondo, pesare un rapporto così "semplicemente"? Perchè io vedo il "complicato", dove tutti vivono il "sereno"?
Perchè io vedo la situazione gioiosa e divertente (un ritrovo in famiglia con tanto di bambini), dove la noia fa scappare le ragazze di ogni età? E perchè, al contrario, scappo dove le sbarbatelle rimangono? Scappo dalle discoteche, dai bar, dove le ragazze bevono per tutta la sera, come fossero camionisti, ma senza scopo, senza ragioni alcune. Mentre se decido di assaporare l'ebbrezza del vino, l'incorono condividendo le grazie con l'uomo.
Ma cosa vuole realmente un uomo? Una donna che sia specchio solo delle sue doti? La donna è lo specchio di un uomo, scriveva Francesca Woodman su di una foto...
Preferirei essere il suo diario, la pagina a cui confidare le debolezze, i segreti, le domande, i dubbi.
Ma noi siamo troppo forti per tutto questo, troppo perspicaci, troppo intelligenti, troppo sagge, troppo critiche, troppo mature. Va tutto bene finchè si esaltano i loro muscoli, la grandezza del pene, le capacità amatorie. Il resto può anche non esserci. Per i problemi ci sono le amiche (di cui non si conosce nemmeno il nome), per sfoggiare la posizione kamasutra della sera prima, ci sono i 4 amici al bar ( di cui si conosce a malapena il nome), per provare la posizione kamasutra a pg.50 c'è la fidanzata ( e qui se si sbaglia il nome è un vero casino). Ed ecco riassunta la "coppia tipo", quella di cui tutte le zabette spettegolano, riscoprendosi poi una di loro...


(foto di Francesca Woodman)

martedì 12 ottobre 2010

Editoriale moda







Editoriale su "Libero Stile"
Model: Danielle (Urban Management)
Make-up/Hair: Elisa Rampi
Styling: Hye Jin Lim
Photo: Miriam De Nicolò
@ Cool Hunter Italy

lunedì 11 ottobre 2010

Danielle@Editoriale


















































Model: Danielle (Urban Management-Milano)
Photo: Miriam De Nicolò
A breve posterò l'Editoriale moda pubblicato su "Libero Stile", inserto di "Libero".

Nonsense

E' ottobre, il mese del raffreddore. Il benzinaio di fiducia mi ha donato due castagne di ippocastano contro il malessere.
Godo di ottima salute, per ora, tanto da suscitar l'odio della mia dottoressa:
"Signorina, lei mangia quanto un uomo di 80 chili, prediligendo la poltrona e i libri all'allegria delle palestre (allegria?!?), non ingrassa, nessun disturbo alimentare e se non mi ferma potrei cacciarla dal mio studio tant'è l'invidia!"
E' ottobre, bevo Kusmi Tea al posto del fresco Yerba Mate, leggo biografie di donne suicide al posto di sfogliare eccellenti riviste di moda, rimango a scrivere fino a notte fonda, invece di fare il bagno di Mezzanotte.
E' ottobre, dovrei fare il mio lavoro, scrivere, e invece mi ritrovo qui a spulciare pensieri.
Del tipo: Sono gelose l'una dell'altra le concubine? Si innamorano spesso le gheishe? Come si può non avere fantasia? Come può una donna essere fiera di andare in un luogo dove altri uomini la vedono sudare e faticare come un camionista sotto il sole di agosto? La "palestra" si può ricreare nell'intimità di casa...
Probabilmente dopo un litro di Veuve Clicquot, direi le cose con una logica sequenziale...

domenica 3 ottobre 2010

La parola è dolore

Appena finito di leggere i diari di V.Woolf. Ho un senso di inutilità e tristezza che mi inonda gli occhi. Non è proprio tristezza, sono malinconicamente appagata dalla lettura, perchè credo già di amare questa scrittrice, a modo mio e perchè la lettura mi chiude in un mondo vellutato, così profondamente lontano dal resto del mondo, che ora non sopporto.
Ho solo molto desiderio di solitudine e l'unica attività a cui vorrei dedicarmi è la lettura. Inizierò "Orlando" e poi seguirò per "Le cose che accadono" e magari farò un po' di pausa con la Mitologia Greca, come mi ero promessa, per poi ritornare alla Woolf con "Gita al Faro".
Mi alzo dal divano dopo ore di immersione nelle parole, ancora con le lacrime agli occhi , da questo sentimento strano, che non riesco a descrivere, vado al bagno (...) e scoppio in sighiozzi, seduta sul water. La scena, vista dal di fuori, mi fa sorridere, ma continuo a singhiozzare. E' tragicomica. Il water, il rumore dell'urina sul fondo, il dolore del pianto.
Decido di mettermi al pc a scrivere queste poche righe, ma sento di non saperlo fare, è come se avessi "libri da dire", ma non avessi la consapevolezza della capacità. E questo mi blocca ed il senso di inutilità, di sentirmi una formica sotto un camion, aumenta. Poi penso "chisenefrega" e semplicemente sfogo le "scritte" che mi si presentano nella mente. Perchè ogni volta che vorrei dire qualcosa, prima mi si forma come una foto, come un'immagine in testa, e prendono forma le parole, in nero, sul foglio bianco. La penna credo sia una stilografica.
Vuoto allo stomaco, tremolìo delle mani, nausea e sussulti, forse è solo il periodo di ovulazione che mi scombussola così. Che mi fa sentire una bambina sola, che mi commuove alla vista di un cucciolo di cane (come iersera, in mezzo ad una festa di una ventina di persone, con tanta alta musica...)
E tutte le stranezze che mi fa provare, sempre il periodo pre-mestruale (?): come il desiderio di trovarsi in quello stato d'animo di Alice nel paese delle meraviglie, quando legge sotto un ciliegio e cade nel turbinìo dolce e soffice del sonno. E i sogni si fanno realtà.
...
La pagina sarebbe un continuo tentennare di puntini di sospensione , se volessi essere precisa nello spiegare... e non avrebbe un'immagine adatta a sintetizzare tutta questa confusione. Non sarebbe nera nè bianca, ma nemmeno grigia o delle sfumature infinite di grigio. Nè perla, nè antracite. La lascio così. Lascio posto solo alle parole.

martedì 21 settembre 2010

Di notte

Inutile illuderci dei pochi caldi spiragli di luce, quella morente dell'estate; è autunno, ormai, e lo sento dall'aria fredda della sera. Quest'aria inquieta e sorda e muta che sibila alle finestre.
Sono giorni che non scrivo e ogni volta mi sembra di perdere una parte di me, sento strappare quella vena che mi salva dalla lieve depressione. La depressione assenza-scrittura. Passano i minuti al telefono, le ore di conversazione alle cene, i partyes organizzati, le ricerche fotografiche, le difficoltà d'essere compagna, e poi torno alla letteratura.
Sforno frasi e pagine quasi tutte le notti, le annoto su un blocchetto ad occhi chiusi, mentre fuori dalla mia camera il mondo dorme. Al mattino non sono che scarabocchi infantili, forme geometriche e simboli indecifrabili; provo a ricordare e riporto in "bella copia" sul diario.
Chissà perchè Dio mi bacia nel mezzo della notte.
Dovrei lavorare ad un articolo, ma ho la testa altrove:
1. mi interrogo sui rapporti umani
2. penso all'inaffidabilità di alcune categorie di mestiere
3. ho un senso eccessivamente poetico della vita
Passati circa 90 minuti, il tempo di una partita di calcio senza recuperi, a guardare il soffitto e cercando di darmi delle risposte, sento un leggero/enorme vuoto:
1. mi mancano terribilmente le brillanti conversazioni filosofiche sulla vita (...)
2. sento il bisogno di vedere il mio primo psicologo
3. temo, sorridendo, di andarmene molto presto
Detto/scritto questo, lascio il mio blog con un pensiero, non meno pessimista di molti miei altri, ed è quello della convinzione che a nessuno importa di nessun'altro. Siamo degli egoisti. Nessuno escluso. L'altruista più puro è colui che aiuta il prossimo per compensare il suo bisogno di dare, per sentirsi accettato o in pace con se stesso. Con l'illusione di avere la coscienza a posto, si dorme sogni sereni.
And so...




venerdì 17 settembre 2010

Lapsus

Questo scatto è un esempio di "lapsus freudiano".
La scritta sul corpo della modella avrebbe dovuto essere questa: http://miriamdenicolo.blogspot.com/2010/08/simona.html
Mentre utilizzavo il mio Chanel Rouge Passion sul decoltè della bella ed ignara Simona, mi sono accorta di aver scritto la frase sbagliata! (risate a non finire). La cosa più buffa è che Simona vorrebbe sapere quale "amico" avrebbe dovuto prendersi!
Accanto, foto di un anonimo veneziano...

L'attesa


5.


M.


-pre-


M.


lunedì 13 settembre 2010

Tra(i)vestimenti

(foto di Jan Saudek)

Quando la vita, per così dire pubblica, è in contrasto con il sentimento intimo e privato, il rischio della sofferenza è inevitabile. Tragico.
Molte delle nostre convinzioni rispetto ad altre persone, sono basate (ahimè) su preconcetti e pregiudizi, o sul semplice aspetto esteriore. Ovviamente, nessuno si prende la briga di domandare ad un drogato "perchè ti droghi?" o ad una ragazza di strada "perchè ti prostituisci?". Portando questi esempi estremi intendo dire che l'interesse reale verso l'altro, è cosa assai vaga. E questo "altro" , sarà difficile che vaghi con tanto di cartello al collo scrivendoci "Soffro, aiutatemi".
Sopraffatte dal pensiero che nessuno abbia il loro lessico, queste persone si buttano allo sfascio totale, attraverso forme di autolesionismo (chiaro richiamo d'aiuto).
Chi è più forte (almeno apparentemente) riesce a nascondere con scioltezza e disinvoltura il groviglio interiore. La facciata sarà quella di sempre, magari di persone allegre e ben disposte agli altri.
Io stessa sono giunta alla conclusione che senza maschere non si può vivere. Molto meglio chiudere con tre mandate la porta della propria emotività, piuttosto che permettere ai ladri di entrare e fare scorpacciata.
La vita mi ha reso questo ancora più difficile, la morte prematura di persone care, le amicizie finite per chissà quali gravi motivi (...), il rapporto di forza con gli uomini. E si diventa mute, inevitabilmente.
E in momenti come questi, quando i pensieri vanno altrove (e se vanno altrove sprofondano sempre nel buio, maledetti), quando sai che la notte davanti a te sarà un'altra notte insonne, vorresti essere uno scriciolo di sei anni alle prese con i vestiti di una Barbie (io a sei anni ero solita fare altre attività, ma sorvolerei) o pensare se hai messo mirra o incenso nel turibolo. Nient'altro. Tanto continuerai a ricevere carezze da mani sconosciute (anche quando parlano già di "relazione") che vedranno solo un bel visino che volta le spalle e non le lacrime che stanno per solcarlo.

Disillusioni

C'era chi scriveva romanzi con i caffè, io questa sera mi limito al blog, dopo le quattro tazzine macchiate della giornata.
Dopo svariate elucubrazioni mentali, sono giunta ad un pensiero, e cioè, data la mia diffidenza cronica, giungerò nella vita, ad una di queste condizioni:
1. sarò sola e senza un reale confidente a cui regalare me stessa e la mia esperienza
2. mi farò bellamente pigliare per il sedere, con tanto di "grazie" dopo un sorriso.
Solo Dio lo saprà, se ovviamente vivrò tanto a lungo da poter giungere almeno al bivio di queste strade.
(nella foto Anne Sexton)

mercoledì 25 agosto 2010

Leggi


Ricordiamoci che l'uomo era una bestia, milioni di anni fa, che vigeva la legge del più forte e che si accoppiava come un quadrupede (l'unica cosa che non è cambiata).
Bestie, egoisti, prevaricatori, opportunisti, ruffiani come i gatti vicini alla ciotola vuota.
Tutti i rapporti della mia vita mi hanno visto indipendente, forte, dominante; sono sempre stata la prima (perchè dovevo), sono sempre stata cerimoniosamente corteggiata, ho visto uomini trasferirsi da un capo all'altro dell'Italia, dopo essere stati lasciati, uomini piangere ai miei piedi, implorando un mio ritorno, ma, solo oggi, mi accorgo di quanto poco io possa conoscere l'essere umano. Nonostante abbia un interesse diabolico e sezionatore delle menti altrui, devo ammettere di ignorare forse l'essenza della verità: la menzogna stessa.
In fondo molti dei rapporti a due sono sporcati da piccole o grandi bugie, come negarlo? Come negare che desiderare una storia pulita ed onesta, non sia solo una favola per sognatrici troppo sentimentaliste?
Non sono una sciocca, nè una Penelope che rimane a tessere una tela vivendo nella speranza, ma se a volte mi concedo un attimo di tregua, un lasciapassare, se mi abbandono per un attimo tra le braccia dell'amato in cerca di quelle piccole conferme che ogni donna desidera, mi punisco. E' autodistruggersi, è sapere che quel distacco che hai costruito nel tempo, negli anni, lascia il posto ai dubbi, alle domande, alla ricettività. Tutto cambia. Si diventa come un'aquila con la zampa rotta. Ed io voglio essere solo un'aquila.
Ma la vita è fatta anche di queste cose, banalmente umane, che ci riducono tutti indistintamente ai minimi termini, ed io assorbo, gelosamente, come una qualunque donna ferita, assorbo come una spugna nel punto più sporco del mare. Assorbo e so che tutto questo mi condurrà ad un punto di chiusura totale, dove non esisterà più dolore, ma solo indifferenza. Dove gli altri non esisteranno, dove censurerò ogni spontanea forma d'affetto, dove nemmeno la sincerità avrà più valore.
Ho 26 anni, un solo confidente e molti teschi nell'armadio. Sabato lo indosserò e vedremo che farne...

lunedì 23 agosto 2010

Legàmi

(foto di Jan Saudek)

Un rumore familiare d'acciaio, è mia madre che apre la porta blindata di casa. Non è sola; all'altezza del seno, un bambino pallido con le lentiggini, è L., suo nipote, ed ha 7 anni.
L. è l'unico figlio di uno dei miei zii. E' un bambino timido, ma di un'intelligenza vivace, spigliata. Mia madre dice dovrà rimanere con me, mentre lei va a fare delle commissioni.
La visita è inaspettata, ed io non amo le improvvisate. Pensavo di rimanere beatamente a casa, a godermi il silenzio e "Adorata creatura" con in mano una tazza di tè. Obbedisco, come solo in presenza di bambini so fare, e mi levo dall'appicicaticcio divano, spazzolo i capelli, lavo il viso e cerco di sembrare per lo meno simpatica. Qualche attimo di silenzio, nella sala, noi tre, parenti , eppure stranamente estranei. E' l'imbarazzo, mia madre capisce che qualcosa non va, forse crede sia scocciata.
Rimaniamo soli, io e questo corpo troppo magro, troppo piccolo, con occhi troppo grandi. Lui in piedi in mezzo alla stanza, le mani giunte che si scorticano per la timidezza, lo sguardo altrove. Capisco che devo rompere il ghiaccio. Anche con gli under 14, si deve rompere il ghiaccio.
Inizio a fare le solite domande sulla scuola, sullo sport e sul cosa-vuole-fare-da-grande.
Ho sempre avuto un rapporto particolare con i bambini, con la loro purezza, l'ingenuità che so perderanno. Li vedo come ciuffi d'erba nel deserto, verde acceso. E ho sempre instaurato quel tipo di rapporto che loro vorrebbero: paritario. Parlo loro come parlerei ad un adulto, dopo aver rotto il ghiaccio ovviamente. Non uso vezzeggiativi come fanno gli sciocchi o le madri inesperte, non mi rivolgo a loro come fossero degli stupidi inetti o ignoranti senza speranze. Semplicemente parlo. E forse insegno. Con una certa gioia, con la stessa che avrei desiderato io, con la sottigliezza della spiegazione e la profondità del dettaglio.
L. ed io giochiamo a carte ora. Vuole imparare la Scala Quaranta ( Karanta dice lui giustificandosi per aver perso i denti davanti). E' attento e curioso e fa domande e, quando sbaglia accenna ad un sorriso imbarazzato. Io lo correggo seriamente, non gli concedo la vittoria fingendo, non applaudo se la partita è sua; i miei gesti d'approvazione sono lievi risa ed un banale "Bravo", che so apprezza.
Dopo la Scala Karanta è la volta del suo gioco: il gioco degli Stati. Ciascuno deve dire uno Stato del Mondo, fino a quando si esauriranno; gioca così con i suoi genitori. Sono talmente ingenua da credere perderà dopo 10 nomi, invece mi da' del filo da torcere e sono felice. Felice perchè il suo piccolo sapere mi ricorda la Miriam piccina che leggeva libri di Anatomia Umana alla sua età.
Passo del tempo sola con lui e lo trovo sempre più adorabile.
Mia madre torna, altro rumore metallico delle chiavi che volteggiano nella serratura.
Parenti a cena, L. ed io quasi non ci parliamo, ma sento che si è creato un legame, un legame segreto, da vociare solo quando siamo soli.

giovedì 19 agosto 2010